L'onda lunga (e velenosa) della "teologia della liberazione". La teologia della liberazione nasce e si diffonde in America latina e ha fin dall'inizio l'idea di trovare una convergenza tra l’esperienza religiosa e quella sociale e politica, coinvolgendo direttamente le masse e trasformando l'Annuncio cristiano in un messaggio religioso (si vedrà col tempo quanto più o meno identificato) che sostenga l'emancipazione politica e sociale. A partire dagli anni Sessanta il peruviano Gustavo Gutierrez con il libro "Teologia della liberazione" (1973) e - soprattutto - il brasiliano Leonardo Boff propongono un nuovo modo di intendere e dunque di "fare" teologia: considerare la teologia come prassi e la fede come prassi storicizzata, calata e contestualizzata nella storia (e quindi da essa dipendente) come un’azione in grado di cambiare la realtà. Questa teologia viene elaborata pensando alla situazione difficile del Sud America di quegli anni, di fronte ai regimi militari, alle masse sottoposte a sfruttamento e ridotte in miseria, di fronte ai poveri e agli oppressi. Certo. Ma nel suo costituirsi e nel suo proporsi questa teologia appare come quasi esclusivamente rivolta all’azione, un’azione che ha però come fine la liberazione sociopolitica e culturale delle masse, una liberazione "politica", "materiale": l'elemento, l'orizzonte spirituale - sempre meno tangibile - passa in subordine. Inoltre, tale emancipazione è solo antropologica, finalizzata a realizzare una società a dimensione "autenticamente" umana - ma in realtà "umana solo umana" o "umana, troppo umana". La condizione economica dei popoli oppressi è il vero grande problema: secondo i teologi della liberazione tale ingiusta condizione non può essere superata con una graduale presa di coscienza o una lenta trasformazione delle masse, ma solo con una rottura rappresentata dalla lotta per la liberazione. La vicinanza ai poveri è un tema evangelico, certo, ma la teologia della liberazione non propone solo un atteggiamento semplicemente evangelico o etico, ma anche politico e poi attivo, un atteggiamento che si trasforma appunto in praxis, in azione, in lotta. Anche armata, se necessario. I poveri e i diseredati del Terzo Mondo non possono essere assimilati ai cristiani del Primo Mondo che si trovano in condizioni storiche e sociali molto diverse. Tuttavia le condizioni dei poveri e degli sfruttati chiamano in questione non soltanto la nostra fede di cristiani, ma anche le nostre condizioni economiche, sociali, politiche. Per questo motivo la teologia della liberazione è schierata con i poveri e opera per la loro liberazione con un’azione politica, con un’azione che ha luogo nella storia. La Chiesa cattolica nelle sue più alte gerarchie si era inizialmente schierata contro la teologia della liberazione e, pur ammettendone certi elementi positivi, ne aveva criticato l’adesione all’analisi dell’economia di impostazione marxista e lo spirito politico e rivoluzionario che la caratterizza. Come siano andate a finire le cose, è oggi sotto gli occhi di tutti. La morale? Il veleno, avvelena. Le ferite, se non vengono curate alla svelta, creano infezioni. E le infezioni si diffondono fino a provocare cancrena e morte. Beninteso: morte spirituale, prima di tutto. Quella del corpo e del corpo sociale non è che una conseguenza di ciò che avviene nell'anima.

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